CAVA BERTACCHINA: LA REGIONE AUTORIZZA UN NUOVO AMPLIAMENTO INUTILI I PARERI NEGATIVI DEL COMUNE DI VERONA

Con Decreto del Direttore della Direzione Ambiente n. 491 del 20 maggio 2020 (pubblicato ieri n.d.r.) la Regione Veneto ha dato il via libera all’ampliamento della cava Bertacchina.
Il Comune di Verona che in più occasioni, anche su iniziativa del sottoscritto, sia con delibere del consiglio comunale che con delibere della giunta aveva espresso parere contrario ne esce nuovamente sconfitto.
Il progetto approvato consentirà di estrarre ulteriori 675.000 m3 di sabbia e ghiaia scavando fino a -15 metri dal piano campagna.
Ricordiamo che la cava Bertacchina è stata autorizzata per l’escavazione di ghiaia e sabbia, nel 1980,in un periodo precedente alla legge Regionale n.44 che regola l’attività di cava, del 1982. Sono passati, quindi, 40 anni dall’apertura della cava Bertacchina che rappresenta una vera ferita sul territorio.
Quello che vorremmo capire è quale visione ha l’attuale amministrazione del futuro di questa parte di territorio che va dalla Croce Bianca al Basson. Noi vogliamo una vera “riqualificazione paesaggistica” dell’area, come recitano del resto le norme urbanistiche collegate al PAQE. Teniamo presente che questa porzione del territorio è da decine di anni soggetto all’apertura di cave, circa l’80% di tutte le cave autorizzate che insistono sul comune di Verona, si trovano in questa zona.
La Regione Veneto, che a parole si dice contraria al consumo di suolo, ha in realtà deciso nell’aggiornamento del PRAC (Piano Regionale di Attività di Cava) e con il silenzio dei consiglieri regionali veronesi del centrodestra che nella nostra provincia verrà estratto più di metà del fabbisogno di materiali estrattivi della nostra regione. Su complessivi 9,5 milioni di metri cubi che si prevede di scavare nei prossimi dieci anni, più della metà 5 milioni dovranno essere estratti nella nostra provincia.
Per uscire da una situazione di grandi guadagni privati e di rilevanti impatti nel paesaggio, a fronte di canoni irrisori, sarebbe opportuno introdurre in tutta Italia canoni di concessione decisamente più elevati (quelli in vigore in Gran Bretagna sono pari ad almeno il 20% del prezzo di vendita). È una questione non solo di giustizia e equilibrato utilizzo dei beni comuni, ma anche una condizione imprescindibile per muovere l’innovazione. Oltretutto con oneri di concessione per l’attività estrattiva così bassi l’Italia rinuncia a promuovere un settore innovativo come quello del recupero degli inerti provenienti dalle demolizioni in edilizia, che può sostituire quelli di cava – come sta avvenendo in molti Paesi europei – e di risparmiare il paesaggio.

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