L’esempio di Verona Fiere, dove consiglio di amministrazione e
dirigenza hanno deciso, su base volontaria, di tagliarsi gli
stipendi del 20% in segno di solidarietà con il dramma che la città
sta vivendo nonché nei confronti dei dipendenti per i quali sono
stati chiesti gli ammortizzatori sociali, dovrebbe essere seguito da
tutte le partecipate veronesi, almeno quelle più ricche.
Considerata la pletora di partecipazioni in cui il Comune di Verona
è ancora coinvolto (in numero assoluto siamo secondi solo a Roma
Capitale), e visto i sontuosi emolumenti di cui molti dirigenti
ancora beneficiano, la misura avrebbe un valore più che simbolico,
direi reale e concreto.
Ma anche volendo stare sul piano della giustizia astratta, ha
lasciato a dir poco perplessi il comportamento dei vertici di
Fondazione Arena che, dopo aver passato mesi a raccontarci di essere
riusciti a risanare e rilanciare l’ente, alla prima prima pur seria
difficoltà, hanno messo tutti i lavoratori in cassa integrazione
(Fis) con effetto retroattivo, prima ancora di decidere sul destino
della stagione estiva; senza nemmeno provare a stipulare l’accordo
sindacale e senza riconoscere i sacrifici che i lavoratori avevano
già fatto per salvare l’ente dalla bancarotta.
Incoraggio dunque il Sindaco a dare in tal senso indicazione a tutte
gli enti e le aziende partecipate. L’adesione dovrebbe essere
mantenuta su base volontaria. Tra gli stipendi più alti ricordiamo i
240 mila euro lordi all’anno percepiti dal direttore Generale di
Serit Maurizio Alfeo, (siamo al livello dell’emolumento del
Presidente della Repubblica Italiana); i 150 mila euro a testa dei
direttori generali di Agsm e Agec Daniela Ambrosi e Marco Peretti; i
100 mila euro della Sovrintendente della Fondazione Arena Cecilia
Gasdia, che all’inizio del suo mandato aveva già rinunciato a 55
mila euro rispetto ai 155 mila di cui avrebbe diritto in virtù del
doppio ruolo di Sovrintendente e Direttore Artistico.