VENT’ANNI DI MANCATA TUTELA DEL PAESAGGIO

22 gennaio 2004, probabilmente ai più non dirà molto come ricorrenza, ma per chi si occupa di paesaggio corrisponde a un evento piuttosto importante quale la promulgazione del Decreto legislativo n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”, cosiddetto “Decreto Urbani”.

Celebrare il ventennale di una legge sul paesaggio dovrebbe consentirci prima di tutto di condurre una riflessione sui suoi esiti, a fronte di un processo di pianificazione oramai compiuto ed efficace, permettendo di mettere in evidenza pregi e difetti, similitudini e differenze, insiemi e sottoinsiemi di tipologie di strumenti di piano coerenti con gli stili di progettazione delineati dalle singole Regioni.

E invece, conducendo una breve indagine sugli strumenti di piano regionali, si appalesa immediatamente agli occhi l’evidente stato di ritardo in cui versa la pianificazione paesaggistica nel nostro Paese. Solo quattro Regioni hanno approvato il piano paesaggistico: Puglia, Toscana, Piemonte e Friuli Venezia Giulia, quest’ultima, la più vicina in termini temporali, nel 2018.

Come si può constare il quadro è alquanto desolante (quattro Regioni su venti hanno completato l’iter di formazione del piano paesaggistico). Se assumiamo che le Regioni Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta hanno piena autonomia in materia di paesaggio in virtù delle disposizioni dei loro statuti e quindi non hanno l’obbligo della redazione e dell’approvazione di piani paesaggistici che sottopongano a “specifica normativa d’uso” tutto il territorio regionale, potremmo passare da quattro su venti a quattro su diciotto. Ma nella sostanza ciò non sposta di molto l’attuale sconfortante situazione.

Diverse Regioni sono alle prese, ormai da diversi anni, con la redazione del piano paesaggistico ai sensi del DLgs 42 del 2004; esempi ne sono il Veneto, l’Emilia-Romagna, l’Umbria, le Marche, la Sardegna, la Lombardia, il Lazio, la Campania, la Calabria, l’Abruzzo, il Molise, la Basilicata, la Sicilia ognuna attualmente a un diverso stato di avanzamento dei lavori e dell’Intesa tra Stato e Regione. Quest’ultima vera e propria questione dirimente nella redazione del piano paesaggistico in quanto, tutte le Regioni (a parte Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta come visto in precedenza) hanno l’obbligo di copianificazione con il Ministero della cultura.

Il lasso di tempo tra l’avvio dell’iter di redazione del progetto di piano, i tempi per la stesura (e spesso per il rinnovo) dell’Intesa, oltre ai tempi effettivi di predisposizione, presentazione e discussione dello strumento di pianificazione fanno sì che la sua gestazione sia alquanto lunga finendo spesso per generare continui avvii e interruzioni dei processi determinandone tempi biblici. Un esempio su tutti il Piano territoriale regionale di coordinamento del Veneto che inizialmente doveva essere anche a valenza paesaggistica: avviato nel 2004 (con il Documento programmatico preliminare per le consultazioni) e conclusosi nel 2020 con la sua approvazione, ma avendo nel frattempo perso, tra adozione e approvazione, la valenza paesaggistica.

La conclusione, nel nostro Paese la pianificazione paesaggistica non costituisce e non ha mai costituito una priorità, soprattutto politica più che tecnica, in termini di difesa e tutela di un bene comune così prezioso.

Senza riandare al rapporto tra leggi di “tutela” del paesaggio e condoni edilizi e soffermandoci solo ai fatti più recenti le Regioni, come visto in precedenza, stanno procedendo in ordine sparso (e con tempi fortemente dilatati) alla predisposizione dei propri disegni paesaggistici delineando approcci e visioni assai differenti, dando origine a un progetto di paesaggio (nazionale) che si reggerà ancora una volta esclusivamente sul sistema dei vincoli paesistici ai sensi delle leggi 1497 del 1939 e 431 del 1985 (nell’interesse del MiC), non essendo “obbligate” a pianificare l’intero sistema territoriale regionale; cogliendo con ogni probabilità solo in alcune di esse l’opportunità di pianificare omogeneamente il paesaggio (pur continuando a mantenere due regimi diversificati tra beni paesaggistici e restante paesaggio).

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